“Democrazia in crisi? Sintomi e antidoti” è il titolo della giornata di studio annuale promossa dall’Istituto superiore di scienze religiose di Torino, che si terrà giovedì 16 febbraio. Un’occasione per riflettere su un tema delicato, con l’aiuto di due studiosi ed esperti del settore, rivolta agli studenti e docenti dell’Istituto, ma aperta a tutti gli interessati. Non è necessaria iscrizione e l’accesso è libero. La giornata sarà trasmessa anche in diretta sul canale YouTube “Teologiatorino”. Interverranno Francesco Occhetta della Pontificia università gregoriana sul tema “Dal populismo al popolarismo, una sfida possibile” ed Edoardo Greppi dell’Università di Torino con una relazione su “Stati, nazioni, popoli nella vita di relazione della comunità internazionale”.
Abbiamo chiesto a Pierpaolo Simonini, docente di morale all’ISSR di Torino e al Ciclo di specializzazione in Teologia morale della Facoltà teologica, di introdurci al tema.
Professor Simonini, a ogni tornata elettorale cresce la percentuale degli astenuti: come si spiega questa disaffezione dei cittadini alla partecipazione alle scelte politiche?
Sarebbe fin troppo facile legare il fenomeno da una parte al miglioramento generale delle condizioni di benessere e dall’altra alla perdita di fiducia nella classe politica. Sicuramente non esiste più il partito capace di organizzare il consenso, di formare un’idea e di mobilitare le persone. Ma un’analisi anche superficiale del fenomeno ci porta a distinguere il consenso dalla partecipazione, con tutte le implicazioni che questo può avere.
Infatti, da decenni si parla di crisi dei partiti, che nascono, esplodono, implodono o scompaiono nel volgere di pochi anni. Per curare la democrazia si dovrebbero superare i partiti?
I partiti tradizionalmente intesi sono una forma politica sicuramente obsoleta. Ma una politica senza luoghi di confronto, di elaborazione di idee, di organizzazione di strategie, diventerebbe o un’arena selvaggia o un tecnicismo. Leaderismi o populismi hanno già mostrato i loro seri limiti. Ci sono forme interessanti di sociocrazia, ad esempio, che potrebbero essere utilmente sperimentate. E c’è ancora molto spazio da lasciare ai giovani, non solo in termini di quote minime e volti spendibili.
Dunque, la forma di governo democratica è irreversibile o potrebbe finire sotto processo? La democrazia è ormai una finzione o, al momento, la miglior forma politica elaborata nella storia?
La politica è un fatto sociale e nessun fatto sociale è irreversibile. La dottrina sociale della Chiesa è approdata alla conclusione che la democrazia è la miglior forma politica elaborata finora nella storia. Ma essa è un equilibrio dinamico tra diverse tensioni: deve rappresentare tutti, senza però mettere in discussione alcuni capisaldi della convivenza, neanche quando una maggioranza sarebbe disposta a farlo; è strettamente legata alle trasformazioni dei canali di informazione, che devono però essere vagliati criticamente, perché ne promuovano il progresso e ne evitino le regressioni; può essere messa sotto processo, purché non le si attribuiscano surrettiziamente responsabilità che invece attengono a un suo cattivo uso, il che richiede pertanto una valutazione morale.
Già. E come occorrerebbe allora comporre in modo equilibrato il rapporto tra digitale e democrazia? I social possono rafforzare i processi democratici o ne favoriscono le degenerazioni?
I social possono sia rafforzare che far regredire i processi democratici, ma non è una novità: sono certamente più pervasivi, ma accadeva anche con le adunate in piazza, le feste di partito e la televisione. L’anticorpo è, ancora una volta, coltivare una cultura democratica.
In Italia i cristiani effettivi sono sempre meno e dunque sempre meno in grado di sostenere le loro convinzioni nel contesto politico. Secondo lei, dovrebbero impegnarsi in politica e preoccuparsi della crisi della democrazia o sarebbe più urgente che si interessassero dell’annuncio della fede a un mondo scristianizzato?
Il cristiano deve impegnarsi in politica, oggi più che mai, perché la fraternità – come ha ricordato papa Francesco – è un fatto politico. È riconoscere nell’altro, amico o socio, straniero o perfino avversario, un fratello, ossia una presenza che ha in sé una promessa di bene. Il cristiano, che vive fidandosi di Dio e dell’uomo, avrà necessariamente cura anche delle istituzioni che rendono abitabile la sua storia, nel segno di questa promessa di bene: immaginare la società e le sue strutture a misura di chi è fragile, il cui bene è la misura autentica del bene comune.
Per leggere l’intervista integrale a Pierpaolo Simonini, pubblicata su «La Voce E il Tempo» del 12 febbraio 2023, clicca qui.