Sono comprensibilmente molte le voci che nei giorni scorsi si sono levate ad esprimere gratitudine e affetto in occasione della scomparsa di mons. Giuseppe Ghiberti e dei suoi funerali. A queste voci vogliamo unire le nostre, per esprimere la gratitudine per un contributo di rilievo che don Giuseppe, insieme a una serie di suoi significativi colleghi, ha dato alla nostra vita diocesana: la riqualificazione della presenza e della qualità della teologia in diocesi e, in particolare, l’offerta di essa per la formazione dell’intero popolo di Dio.
Quando, a inizio Anni Sessanta, don Giuseppe inizia il suo insegnamento presso il Seminario di Rivoli, la teologia è sostanzialmente riservata ai soli chierici, non ci sono realtà accademiche teologiche che vadano oltre le “scuole di seminario”, la docenza della teologia è perlopiù interpretata come l’ingenua ripetizione della dottrina acquisita una volta per tutte (nei casi migliori, espressa in forma viva ed esistenzialmente accattivante). Il confronto con le istanze della cultura contemporanea è assente, come ben testimonia il fatto che nella biblioteca del Seminario da alcuni decenni gli acquisti, a seguito della crisi modernista, siano fermi: non si vuole che le idee del mondo contemporaneo possano compromettere le menti dei giovani virgulti sacerdotali. In una parola: la teologia (anche torinese, ma non solo) era fuori dalla realtà e dal confronto vivo con le istanze della cultura del tempo.
Formatisi, a Roma, Milano e in altre Università europee, Ghiberti e i suoi colleghi (alcuni più anziani, alcuni più giovani di lui) iniziano a “sprovincializzare”, ciascuno nella propri area di competenza, il livello della docenza, mantenendo contatti e frequentazioni a livello italiano ed europeo; promuovono la ripartenza della biblioteca, sottraendola al destino di polveroso deposito di libri antichi e facendola tornare strumento ineludibile di studio e di confronto; partecipano alla nascita delle diverse associazioni teologiche in ambito italiano (e ne sono spesso tra i fondatori) e promuovono in prima persona la ricerca, con studi e pubblicazioni.
Assumono con responsabilità la richiesta del Concilio (in linea con la migliore teologia della prima metà del Novecento) di rifondare la riflessione teologica su adeguate basi bibliche e patristiche. Intanto, con il sostegno non secondario del card. Pellegrino, a fine Anni Sessanta partecipano alla fondazione della Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale, promuovendone la sezione parallela di Torino: un passaggio decisivo per uscire dal livello (e, soprattutto, dall’orizzonte mentale) della “scuola di seminario”.
Tale configurazione accademica induce, all’inizio degli Anni Settanta, a trasferire la sede della Facoltà Teologica dal Seminario di Rivoli all’antica (e splendida) sede del Seminario, in via XX Settembre 83, nel centro di Torino. In occasione di tale trasloco avvengono o si consolidano due fatti che, salvo brevi interruzioni, segnano da cinquant’anni il nostro panorama diocesano: la distinzione tra Seminario e Facoltà Teologica, e l’apertura (siamo stati tra i primi in Italia, e l’opportunità è stata a lungo non comune) degli studi teologici a tutti membri del popolo di Dio. Per favorire la presenza degli studenti laici l’orario delle lezioni viene spostato dal mattino al pomeriggio, una scelta consequenziale che all’epoca pare rivoluzionaria. Per la prima volta, dopo secoli, si smentiva l’impostazione secondo cui ci fosse una teologia di serie A per i preti e una teologia di serie B per il resto del popolo di Dio. Tali scelte, che oggi risultano pacificamente acquisite, furono accompagnate dai malumori di chi continuava a pensare la teologia come appendice mentale della sacrestia, appendice da isolare rispetto alle domande della cultura contemporanea. Ghiberti e i suoi colleghi furono lucidi e determinati nel promuovere e tutelare la bontà delle scelte fatte.
Successivamente, negli Anni Novanta, fu ancora decisivo il ruolo di don Giuseppe nel far progredire il percorso intrapreso, con l’avvio della licenza in Teologia morale sociale, con la pubblicazione della rivista accademica Archivio Teologico Torinese e con la cura della collana della Facoltà, Studia Taurinensia.
Chi oggi (meglio sarebbe dire, da tempo) varca le soglie di via XX Settembre 83 trova, nelle diverse istituzioni teologiche ivi ospitate, un corpo docente composto da uomini e donne (ancora poche rispetto all’ordinaria composizione ecclesiale), da preti, laici/laiche e religiosi/e, un corpo docente perlopiù impegnato nello studio e nella ricerca e, in alcuni suoi esponenti, presente nel panorama disciplinare italiano. Trova, a dispetto degli immancabili detrattori, una teologia equilibrata e plurale: non c’è un “pensiero teologico unico”, ma un significativo spaccato della pluralità di voci presenti nella riflessione teologica contemporanea e nel suo tentativo di tradurre il Vangelo di sempre nei linguaggi di oggi.
Certo, chi ha vissuto questa lunga storia dall’interno e da vicino è consapevole (e don Giuseppe ne era ben consapevole) dei limiti, delle occasioni mancate, dei progetti abortiti, degli esiti imprevisti, degli ostracismi infausti, delle cose perfettibili. Ma guardando agli esiti di questa storia (stante il quadro ecclesiale nazionale e in confronto con altri suoi esiti), possiamo davvero benedire il Signore per quanto don Giuseppe e i suoi colleghi hanno seminato, anche e soprattutto per la nostra diocesi. Per chi lo ha desiderato e lo desidera (lo possiamo constatare in tante significative figure laicali, in quei confratelli che hanno saputo andare oltre l’aneddotica delle lezioni, in chi oggi siede sulla cattedra di San Massimo o su altre cattedre episcopali), la teologia è diventata alimento di vita, di fede e di scelte pastorali, e può ancora diventarlo per molti.
Grazie don Giuseppe, per la determinazione e la lucidità con cui ti sei speso per la ricerca teologica, per le sue condizioni di possibilità, e per tutto ciò che ha significato e significa via XX Settembre 83 e dintorni. Grazie perché, ciò facendo, non ci hai fatto mancare la tua genuina testimonianza di fede, il tuo senso ecclesiale e la tua cordialità. Il Vangelo della liturgia del sabato mattina in cui sei spirato siglava così: “Bene, servo buono e fedele… prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Ferruccio Ceragioli
Germano Galvagno